Era il 2015, avevo appena iniziato la laurea magistrale e avevo le idee
chiarissime: volevo finirla il prima possibile. Il piano di studi prevedeva uno
stage obbligatorio di 240 ore, per acquisire 6 crediti, stage da svolgere nel
corso del secondo anno. Ma al secondo anno avrei dovuto pensare anche alla
tesi, avrei avuto l’ansia di dover finire, ogni mese di ritardo nella ricerca
del tirocinio avrebbe allontanato anche la tanto agognata laurea e poi… E poi
io ero nuova in Unimi, venivo da un altro ateneo ma mi era bastato un solo giorno
nella sporca sede di Festa del Perdono per capire che alla Statale non ci sono
regole: non perché non ce ne siano di scritte, ma perché i tempi per mettersi
in contatto con la segreteria, per avere una risposta degna del Q.I. di una
nutria sono talmente lunghi e frustranti che alla fine conviene fare il cazzo
che si vuole. Così ho deciso che io lo stage lo avrei fatto il primo anno e,
anzi, lo avrei iniziato subito, nel primo semestre.
Mi iscrissi al portale dell’università per trovare le
offerte pensate ad hoc per il mio percorso di studi. Ce n’erano poche più di 4. Un
ottimo inizio per capire quante porte mi avrebbero aperto una triennale in
Lettere e una magistrale in Editoria. Andai così a sbirciare anche fra gli
annunci della Cattolica, che generalmente è sempre stata più efficiente. E con “sempre
più efficiente” intendo anche “tre volte più costosa”.
Feci il mio primo colloquio in via Alessandro Volta a Milano, presso
la sede della onlus Progetto Itaca. Posizione aperta: addetto all’ufficio
stampa. Mi accolsero due signore di mezza età in evidente sovrappeso.