IN ITALIA STUDIAMO TROPPO.

Andiamo, usciamo. No studiamo. I libri son più di otto, almeno mi dia diciotto.






































Oggi ho passato uno di quegli esami al termine del quale non dovrebbero limitarsi a scriverti il voto sul libretto, dovrebbero consegnarti il diploma di laurea firmato dal Conte di Cavour. Un esame sullo scibile, ma quel tipo di scibile che ti consente di friggere degli anelli di cipolla al Burger King in una maniera talmente eccelsa che Cracco li inserirebbe nel suo menù.

Insomma, avete capito, ho portato a casa un altro di quegli esami da incubo, per cui ho passato notti sui libri per mesi, ho consumato dodici set di matite, ventotto BIC, e di cui, soprattutto, non frega una mazza a nessuno. O meglio, penso che se andassi a Passaparola potrei far dimagrire Gerry Scotti per tutte le risposte che saprei dare grazie ai miei innumerevoli esami dai dubbi risvolti pratici, ma se Mediaset ha abolito quel programma dal 2006 credo ci sia un motivo.

Il problema alla base presumo sia che in Italia si studia troppo e male.

Lo studente universitario medio ha una cultura molto vasta, in pratica sa fare ben poco. E ve lo dimostro subito:

Pascoli, nel XIII capitolo del suo Il Fanciullino, scriveva testuali parole:

«Noi studiamo troppo, per poetare; ed è superfluo aggiungere che, per sapere, studiamo troppo poco. Mettiamo lo studio ove non c’entra.»

Troppa rifinitura formale, troppa sapienza, troppa cultura.

Che poi lo so benissimo che quando si parla di conoscenze non c’è mai un troppo, ma perché se nella mia vita voglio scrivere, all’università mi fanno impugnare la penna solo per firmare un dannato statino?

E’ a questo che mi riferisco. E se per farvi un esempio arrivo a citare Pascoli, miseriaccia, vuol dire solamente una cosa: ho le argomentazioni giuste per supportare la mia tesi. Cito Pascoli come fosse un episodio di “Una mamma per amica” (fra l’altro, avete letto della reunion?), ma se mi fate entrare nel mondo del lavoro pratico, entro in panico. Da dove si comincia?

Lo so, si impara.

Ma in un’Italia in cui situazione lavorativa è critica e precaria, non sarebbe più sensato far approdare i laureati a questo grande traguardo con un minimo di coscienza in più?

Se negli altri Paesi lo fanno, perché noi, che avremmo tanto bisogno di persone preparate, no?

Sono pochi i sistemi universitari che conosco abbastanza bene. Lasciamo da parte quello australiano, i canguri sono troppo lontani da noi. Parliamo degli inglesi.
Gli inglesi non studiano la metà di noi, studiano meno. Il sistema è completamente diverso, lo so, ed è proprio questo il punto.
Conosco i metodi adottati da due ben differenti università britanniche: una è l’ultima nella graduatoria del Regno Unito e dunque non sto nemmeno a prenderla in considerazione, ma l’altra è la numero undici su quasi centocinquanta. E’ un ateneo eccellente. Oltre che fighissimo e gigantesco.

Sei esami in due settimane. Da studiare? Slides. Tempo approssimativo per preparare un esame? Tre giorni. (Come se fosse un nostro esame da 3CFU. Ma voglio vedervi a metterne insieme 180.) Per essere promossi? 40/100.

Sto parlando del nostro quattro al liceo.

Quello per cui tua madre ti teneva il muso per altrettante quattro settimane. Quattro era, ed è insufficienza grave. In Inghilterra è la promozione. E’ come se noi venissimo promossi con dodici anziché diciotto.

E ‘sti cazzi.

Eppure in Inghilterra se ti laurei il 15 luglio, il 20 inizi a lavorare con uno stipendio di venticinquemila sterline all’anno con bonus da aggiungere e affitto per i primi mesi offerto dall’azienda.

E tutte queste cifre sono reali, non ne sto inventando nemmeno mezza.

E perché da noi no? Perché io studio manuali di mille pagine e non so quando avrò un contratto a tempo indeterminato?

La risposta di base è semplice: perché sono una cretina e avrei dovuto scegliere un’altra facoltà. Ma la colpa è davvero solo mia?

Potrei aprire un’altra grande parentesi sul liceo inglese rispetto a quello italiano, ma credo che mi stia già rischiando una semi-litigata, quindi evito. Anche perché se vi dicessi che l’ultimo anno devono scegliere solo tre materie e non ce ne sono di obbligatorie e quindi puoi benissimo fare educazione fisica e arte dove devi disegnare le lettere dell’alfabeto in non so che tipo di grafia, quella che si incazzerebbe di più sarei io che ho sputato sangue in terza liceo e ho pregato in greco antico che uscisse latino alla maturità. Ops, vi ho svelato troppo.

Eppure loro trovano lavoro subito. Però non sanno il latino, eh, mentre da noi puoi iniziarlo già in terza media! E quindi loro non sanno scrivere il curriculum in latino? Ah ma non serve saperlo fare? Peccato, puntavo su quello. Allora mi sa che adesso non mi assumono nemmeno all’Upim.

PS: Lo so che esistono gli stage, lo so che te lo puoi trovare da solo, lo so, e so anche che alcune facoltà lo hanno obbligatorio nel piano di studi. Il problema sta nel modo in cui studiamo, perché se Briatore è uno degli uomini più ricchi dello Stivale, è ovvio che un lavoro bene o male lo troveremo tutti, è solo che mi rode aprirmi il culo e arrivarci meno preparata di altri studenti che il culo ce l’hanno massaggiato e bello sodo.


Che poi alla fine sempre qui finisco, che sono una culona.

PS parte seconda: Sì, lo so che vi piacciono le foto. Non siete gli unici.

1 commenti

  1. Sono completamente d'accordo. Sono stato uno studente di scambio negli Stati Uniti, e invece quest'anno mi sto facendo il culo ogni giorno per la Maturità. Se penso che i miei coetanei studiano poco o niente ma riescono comunque a trovare un lavoro ben pagato mi viene un nervoso...

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